Onorevoli Deputati! - Com'è noto, l'attuale disciplina in materia di cittadinanza, fortemente ancorata allo ius sanguinis, stabilisce che acquistano automaticamente, alla nascita, la cittadinanza italiana coloro i cui genitori, o anche soltanto il padre o la madre, siano cittadini italiani; il criterio alternativo dello ius soli è, invece, previsto in via molto residuale, limitatamente ai nati nel territorio italiano e aventi genitori ignoti o apolidi. La medesima possibilità è prevista per i nati in Italia ai quali la legge dello Stato di origine dei genitori non consente di acquisire la cittadinanza dei genitori stessi.
      La cittadinanza italiana viene acquisita anche per riconoscimento della filiazione oppure a seguito dell'accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione stessa. Lo straniero nato in Italia, inoltre,

 

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può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento dei diciotto anni, di voler acquistare la cittadinanza italiana.
      Per quanto riguarda l'acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani, l'acquisto della cittadinanza ha luogo se gli stessi risiedano legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica ovvero siano trascorsi tre anni dalla data del matrimonio e non vi sia stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili né sussista separazione legale.
      L'acquisto della cittadinanza per concessione, infine, richiede una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione. Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti - e che costituisce il requisito fondamentale per il conseguimento della cittadinanza secondo tale modalità - deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell'istanza per la concessione della cittadinanza stessa.
      In particolare, il cittadino non appartenente all'Unione europea può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana qualora risieda in Italia da almeno dieci anni.
      La legge 5 febbraio 1992, n. 91, ha, quindi, introdotto norme più severe e restrittive rispetto a quelle contenute nella legge 13 giugno 1912, n. 555, per quanto concerne l'applicazione dello ius soli, consentendo l'acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri solo in presenza del requisito della residenza continuativa nel Paese dal momento della nascita fino alla maggiore età (articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992).
      Inoltre, nell'attuale normativa viene, com'è noto, riconosciuto un particolare favor agli appartenenti ai Paesi membri della Comunità europea, che si estrinseca in determinate agevolazioni di carattere temporale ad essi riservate per l'acquisto della cittadinanza stessa.
      Tuttavia, già in occasione del dibattito parlamentare relativo alla legge del 1992 non era mancato chi richiamava l'attenzione sulla necessità di rispettare lo spirito democratico ed egualitario contenuto nel preambolo dell'Atto unico europeo, evitando, così, di precostituire, per la concessione della cittadinanza, posizioni di vantaggio dei cittadini comunitari nei confronti di quelli dei Paesi terzi o di altre categorie di non cittadini.
      A quel tempo, però, non si ritenne utile seguire detti segnali di apertura e, pertanto, la vigente legge, pur provvedendo ad adeguare la normativa sulla cittadinanza al dettato costituzionale e ai mutamenti di costume sotto il profilo della parità di sesso, anche a seguito degli specifici interventi della Corte costituzionale, ha finito per accentuare il divario tra cittadini «comunitari» e «non comunitari», aumentando, per questi ultimi, da cinque a dieci anni il periodo di residenza necessario per l'acquisizione del nostro status civitatis.
      Allo stato attuale, pertanto, appare assolutamente imprescindibile la necessità di intervenire nella materia attraverso una riforma della disciplina sulla cittadinanza che si snodi attraverso modifiche riconducibili ad un unico comune denominatore, costituito dalla necessità di attuare effettive politiche di integrazione, favorendo l'acquisizione, in termini più aperti, del diritto di cittadinanza non solo per i nati in Italia, ma anche per coloro che soggiornano stabilmente nel nostro Paese. Non si può disconoscere, infatti, che l'attuale situazione sociale, caratterizzata da un massiccio fenomeno immigratorio, è profondamente diversa da quella esistente all'atto dell'adozione della legge che si intende modificare e non si può non tener conto di una realtà di fatto radicalmente mutata: l'Italia, infatti, da Paese di emigrazione è divenuta Paese di immigrazione.
      A fronte di quanto precede, l'intervento che si propone, in una materia così delicata e rilevante, è stato il frutto di una approfondita e ponderata riflessione essendo, com'è noto, la cittadinanza il «rapporto
 

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fondamentale» che si instaura tra lo Stato e i singoli individui.
      Nella Carta costituzionale infatti - pur non contenendo quest'ultima precise norme aventi ad oggetto l'acquisto e la perdita della cittadinanza, ad eccezione dell'articolo 22, che ne impedisce la perdita per motivi politici - numerosissime sono le disposizioni che si indirizzano ai «cittadini» (ad esclusione, quindi, degli stranieri e degli apolidi) e che fanno sorgere diritti e obblighi solo in capo a questi ultimi.
      Inoltre, anche se la regolamentazione della cittadinanza è prerogativa assoluta di ogni singolo Stato, cioè di esclusiva competenza nazionale, e come tale appartenente alla sovranità di ogni singola nazione, non può non considerarsi, del pari, l'esigenza di pervenire a una armonizzazione della legislazione in tema di cittadinanza con quella degli Stati membri della Unione europea.
      È noto, infatti, che le scelte di ogni singolo Stato si ripercuotono automaticamente in ambito europeo in quanto - a norma del Trattato di Maastricht e, in prospettiva, del Trattato istitutivo della Costituzione europea - ciascuna cittadinanza nazionale porta con sé lo status di cittadino europeo e, con esso, tutta una serie di potestà ben definite, tra cui, principalmente, il diritto di libera circolazione nell'intero territorio comunitario.
      Del resto l'esperienza degli ultimi decenni ci insegna che le migrazioni internazionali non possono essere governate in maniera efficace da un singolo Stato di destinazione, ma richiedono efficaci forme di collaborazione tra i Paesi di destinazione e i Paesi d'origine e di transito.
      Come nel resto d'Europa, anche in Italia l'entità del fenomeno migratorio e le sue caratteristiche stanno trasformando la nostra società in modo radicale e strutturale. Sono quasi tre milioni gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, il 4,8 per cento della popolazione, dato vicino alla media europea. Di loro, circa il 30 per cento risiede stabilmente sul nostro territorio da oltre cinque anni. È un'immigrazione articolata per provenienza, distribuita nelle grandi città e nei piccoli centri, che rende sempre più indispensabile, quindi, l'obiettivo di interesse comune dell'adattamento reciproco.
      In ragione di quanto sopra, sia in ambito internazionale che nazionale, dagli operatori del settore è stato fortemente auspicato un rinnovamento del concetto di cittadinanza che superi le radicate concezioni di stampo etnico-territoriale, per dare vita a una idea di cittadinanza «aperta» di stampo socio-culturale, connessa all'effettività dell'inserimento economico, sociale e politico di coloro che intendono stabilirsi nel nostro Paese. Si richiama, in proposito, la Convenzione europea sulla cittadinanza, sottoscritta dall'Italia a Strasburgo nel 1997 e in attesa di ratifica, che invita gli Stati contraenti a rendere più facile l'acquisto della cittadinanza anche in favore delle persone nate nel proprio territorio, in presenza di determinati requisiti, e a stabilire regole certe e un periodo di soggiorno non superiore ai dieci anni per la richiesta di cittadinanza.
      Al riguardo, sotto questo profilo, il periodo di residenza previsto dall'attuale normativa per la naturalizzazione degli stranieri extracomunitari è, in assoluto, il più lungo tra quelli europei: ad esempio, in Germania sono richiesti otto anni, in Francia e nel Regno Unito cinque.
      Anche per quanto riguarda l'acquisizione della cittadinanza per ius soli il nostro ordinamento non contiene disposizioni di particolare favor per i nati in Italia, a differenza dagli altri Stati europei.
      Da un esame della legislazione comparata si evince, infatti, che in Germania acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca coloro che nascono nello Stato da genitori stranieri, purché almeno uno di essi risieda stabilmente nel Paese da almeno otto anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di permesso di soggiorno illimitato da almeno tre anni.
      In Francia, acquisisce la cittadinanza il bambino nato sul territorio francese, figlio di genitori stranieri, al momento del compimento della maggiore età se, a quella data, abbia la propria residenza in Francia
 

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o vi abbia risieduto abitualmente per un periodo, continuo o discontinuo, di almeno cinque anni dall'età di undici anni in poi. Inoltre, è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza.
      In Spagna, è possibile acquisire la cittadinanza spagnola per coloro che, nati nello Stato, vi risiedano, invece, da un anno.
      In Gran Bretagna, infine, acquisisce la cittadinanza britannica colui che nasce nel Regno Unito se uno dei genitori vi risieda a tempo indeterminato, senza soggiacere ai limiti temporali previsti dalla legislazione in materia di immigrazione. Ha, inoltre, titolo a chiedere il riconoscimento della cittadinanza britannica anche colui che, figlio di genitori non residenti stabilmente nel Regno Unito, nasce nel Regno Unito e vi risiede, continuativamente, per i dieci anni successivi alla nascita.
      Risulta pertanto necessario e non più procrastinabile riformare la vigente legge attraverso una pluralità di interventi che prendono in considerazione le varie situazioni che contraddistinguono la presenza degli stranieri nel nostro Paese e, partitamente, i nati nel nostro territorio, i minori che si ricongiungono ai loro familiari in età infantile o adolescenziale e, infine, gli adulti.
      In linea con la direttiva europea 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, istitutiva del «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo», in corso di recepimento nel nostro ordinamento, si è ritenuto opportuno determinare, in cinque anni, il periodo temporale minimo di volta in volta richiesto per le varie fattispecie acquisitive della cittadinanza italiana contemplate dalla presente legge.
      Diversamente dalla richiamata direttiva, si è ritenuto, però, opportuno riferire e collegare tale periodo alla residenza legale e continuativa - con ciò intendendosi la contestuale presenza di un regolare permesso di soggiorno più l'iscrizione anagrafica - quale migliore indice di stabilità e radicamento sul territorio ai fini del conseguimento dello status di cui trattasi.
      Anche per i requisiti reddituali, richiesti in determinate ipotesi di acquisto della cittadinanza contemplate nel presente disegno di legge, si è fatto riferimento a quelli stabiliti per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
      Ciò posto, nell'articolo 1 del disegno di legge in esame, che interviene precipuamente sullo ius soli, si è inteso da un lato valorizzare, ai fini dell'acquisizione della cittadinanza, la nascita dello straniero nel territorio della Repubblica e, dall'altro, introdurre gli opportuni contemperamenti necessari a scongiurare il pericolo di un afflusso indiscriminato di stranieri che raggiungono il nostro Paese con il solo miraggio di far acquistare la cittadinanza italiana ai propri figli.
      A tale riguardo, conformemente alla citata direttiva europea 2003/109/CE che fissa a cinque anni di permanenza regolare e ininterrotta il termine per il conseguimento dello speciale permesso sostitutivo della carta di soggiorno, si è provveduto, nella lettera b-bis), a contemperare il principio dello ius soli con il requisito connesso alla regolare presenza di almeno uno dei genitori nel territorio della Repubblica per un periodo di cinque anni antecedenti alla nascita; e la regolare presenza è stata collegata, come sopra detto, al requisito della residenza legale e senza interruzioni in Italia che appare idoneo a comprovare un sufficiente grado di radicamento del soggetto nel territorio.
      Con la lettera b-ter) si introduce un'ulteriore ipotesi di acquisto della cittadinanza iure soli, per i nati in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno, residente legalmente all'atto della nascita del figlio nel nostro Paese, sia nato in Italia. La disposizione è finalizzata a favorire l'integrazione degli immigrati di terza generazione come parimenti previsto dalle legislazioni di altri Paesi europei (Francia, Spagna e Olanda). Il requisito della nascita in Italia del genitore, unitamente a quello della residenza legale, costituisce significativo indice della concreta determinazione del soggetto di voler stabilmente
 

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dimorare nel nostro Paese e di inserirsi, con la propria discendenza, nel tessuto sociale creando le condizioni per una reale integrazione nel Paese stesso. Il riferimento ad «almeno uno» dei genitori è essenzialmente preordinato a evitare discriminazioni tra figli legittimi o riconosciuti anche da «uno» solo dei genitori stessi.
      Per quanto concerne l'articolo 2, il principio ispiratore della riforma proposta costituisce una precisa alternativa sia allo ius sanguinis sia allo ius soli: è il cosiddetto ius domicilii, che si affianca allo ius soli per chi non è nato in Italia ma si trova a vivere nel nostro Paese gli anni decisivi della formazione della sua personalità.
      I fatti posti a fondamento di questo diritto - sempre sulla base dell'inderogabile presupposto che almeno uno dei genitori sia residente nel nostro Paese da almeno cinque anni - sono sia la durata della vita in Italia per un congruo periodo, sempre determinato in cinque anni e che costituisce, si ripete, un indice di stabilità significativo nella vita del minore, sia la qualità della vita trascorsa, contrassegnata dalla partecipazione alla scuola e alla formazione professionale o dallo svolgimento di una attività lavorativa, qualora consentita dalle norme che regolano la materia.
      Il conferimento della cittadinanza al minore che si trovi nelle condizioni previste dal citato articolo avviene su istanza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale in base all'ordinamento del Paese di origine. È fatta comunque salva la facoltà, per il soggetto, di rinunziare alla cittadinanza entro un anno dalla maggiore età.
      Nel caso in cui, invece, il soggetto, in possesso dei suddetti requisiti, sia divenuto maggiorenne e risieda legalmente in Italia, può acquistare la cittadinanza con una propria dichiarazione da rendere entro un anno dal compimento della maggiore età.
      L'articolo 3 del disegno di legge contiene una norma tendente a contrastare il fenomeno dei cosiddetti «matrimoni di comodo» stabilendo termini più rigorosi per l'acquisto della cittadinanza iure matrimonii. Di particolare rilevanza, altresì, la disposizione che, ai fini dell'acquisto dello status civitatis, richiede la sussistenza del regime matrimoniale anche al momento, successivo, dell'adozione del decreto del Ministro dell'interno.
      Con l'articolo 4 viene stabilito che la cittadinanza per naturalizzazione ex articolo 9 venga concessa ai soggetti in possesso del requisito reddittuale non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
      Nello stesso articolo, al comma 2, viene, altresì, ridotto di cinque anni per gli stranieri extracomunitari il periodo di residenza legale nel territorio dello Stato necessario per poter richiedere la cittadinanza italiana.
      L'articolo 5 introduce il concetto di reale integrazione dello straniero nel territorio dello Stato, subordinando l'acquisizione della cittadinanza alla verifica della sua sussistenza. È un requisito, quest'ultimo, da tempo adottato in gran parte dei Paesi europei, tipizzato attraverso varie definizioni (tra cui «indicatore di socializzazione», «sufficiente integrazione personale e professionale») e concretizzato con diverse formalità attuative (test di integrazione, attestazione di conoscenza della lingua, frequenza di appositi corsi eccetera), ma tutte preordinate ad acclarare la serietà dell'intento di diventare cittadini, nonché la possibilità di un reale inserimento del soggetto nel tessuto sociale del Paese in vista del rapporto perdurante e stabile che con il conferimento della cittadinanza verrà a determinarsi con la società e le sue istituzioni, anche attraverso la conseguente acquisizione dei diritti civili e politici che lo Stato riserva ai suoi cittadini.
      Viene, quindi, demandato a un regolamento da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, l'attuazione della presente legge.
      L'ultima disposizione (articolo 6) modifica parzialmente l'articolo 10 della legge n. 91 del 1992, in materia di giuramento, prevedendo uno specifico rinvio al suddetto
 

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regolamento per quanto concerne le modalità e il contenuto dello stesso.
      Ciò al fine di poter disciplinare in maniera più solenne, come accade in altri Stati europei, il conferimento della cittadinanza italiana, con la previsione di formalità e contenuti più consoni al qualificante status che lo Stato, con proprie leggi, si appresta a concedere a cittadini di altri Paesi.
      La copertura finanziaria del presente disegno di legge è contenuta nell'articolo 7.